Tempo fa, navigando in internet, mi sono imbattuta in un articolo titolato “Michelle Hunziker: Io prigioniera di una setta”. Da psicologa non potevo rimanere impassibile e così ho aperto il link e, tra i vari racconti della showgirl, il mio sguardo si è soffermato (per ovvi motivi!) su questa frase: «Mi ha fregato così, restituendomi l’amore di mio papà. Avrebbe potuto dirmelo uno psicologo, ahimè mi sono imbattuta in lei».
Perché si, siamo tutti un po’ psicologi, ma ciò che fa la differenza è la REALE capacità di aiutare qualcuno in difficoltà supportata da strumenti diagnostici, di intervento e di verifica validi; strumenti che, nel campo della salute mentale, solo uno psicologo abilitato (o uno psichiatra) possiede.
Ma non è questo di cui volevo parlare…
Quando è uscita fuori questa notizia, molti amici e conoscenti mi hanno chiesto come sia possibile che qualcuno riesca a “cadere” in una trappola del genere. E’ scarsa competenza intellettiva? Scarsa cultura? Debolezza? Bassa autostima e insicurezza?
No! O meglio, questi elementi possono essere presenti e facilitare quindi la manipolazione, facendole trovare terreno fertile, ma può capitare a chiunque in qualsiasi momento della vita: persone brillanti, intelligenti, intraprendenti, di successo…Tutti possiamo cadere vittime di questi gruppi!
Tempo fa mi chiesero di scrivere (assieme ad una mia collega) un capitolo di un libro, “Plagio”, che trattava proprio questo argomento: è la storia di Francesca B. ed è “la storia allucinante di un sequestro mentale che rovinerà la vita all’autrice e a tutta la sua famiglia”.
Vi riporto parte di questo capitolo* sperando che possa servire a chiarire meglio il concetto:
Con “plagio” ( o “manipolazione mentale”) si intende il sottoporre un individuo al proprio volere, esercitando su di lui un particolare ascendente intellettuale e morale in modo da ridurlo in totale stato di soggezione, annientandone volontà e personalità (Enciclopedia Treccani). Il termine quindi si ricollega strettamente a quelli di manipolazione e persuasione attuate al fine di esercitare un’influenza totale sulla vita di un individuo. Risalta, nella definizione della Treccani, il termine “personalità” e il conseguente annientamento della stessa. Se ci si riflette, questo è ciò che più allarma: chi è sottoposto a plagio vede una modifica radicale, fino ad arrivare ad un vero e proprio annientamento, della propria personalità. Quest’ultima è ciò che caratterizza ogni essere umano, è il tratto distintivo di ognuno di noi e deriva da un’insieme di esperienze che viviamo dalla nascita e per tutto il corso della vita. L’influenza quindi va ad investire ogni ambito dell’esistenza: individuale, relazionale, affettiva, lavorativa e sociale. Ad essere modificati sono i pensieri, i valori, le convinzioni e, non ultimo, i comportamenti.
Il plagio è presente in molti ambiti: c’è il plagio giuridico, relazionale, politico, mediatico… Quello di cui ci occupiamo in questa sede è relazionale, ossia il condizionamento mentale che si manifesta all’interno di una relazione interpersonale, sia essa con un compagno di vita, un genitore, un “maestro” o all’interno di un gruppo ideologico o religioso. In questi casi gli effetti del plagio sono ancora più visibili e devastanti in quanto si inseriscono all’interno di un contesto privato e personale, in cui c’è uno scambio non solo di comunicazioni ma anche di affetti e di investimenti reciproci. L’uomo è un essere sociale, inserito in un gruppo che condivide cultura, valori e relazioni. Secondo la psicologia, soprattutto sociale, interazionista e sistemica, i pensieri e le azioni sono influenzati da forze sociali che intervengono anche nella creazione dell’identità.
Secondo la letteratura (Festinger, 1956) nel condizionamento mentale ci sarebbe un controllo di tre componenti dell’individuo, ossia comportamento, pensiero ed emozioni a cui Steven Hassan (2012) aggiunge il controllo dell’informazione. Tutto ciò viene attuato perseguendo due obiettivi: da una parte l’allontanamento della persona dal proprio contesto di appartenenza (famiglia, amici, lavoro e società in genere) e dall’altra parte l’adesione totale alle regole e ai valori del “nuovo” gruppo. Alcuni parlano di “lavaggio del cervello”, altri invece ritengono questo termine non corretto e ormai obsoleto, ma in tutti i casi appare evidente lo stato di assoluta dipendenza che ne deriva. La persona “plagiata” si ritrova ad essere inserita in una situazione conflittuale che, sovente, non riesce a risolvere: da una parte c’è il proprio ambiente d’origine in cui ha vissuto, e condiviso valori, fino ad allora e dall’altra parte c’è la nuova “famiglia” che impone le proprie regole promettendo spesso qualche tipo di “premio” (salvezza eterna, riconoscimento di una missione da portare a termine) e che genera un legame di assoluta dipendenza. Il nuovo gruppo, inoltre, punta spesso all’allontanamento dell’individuo dalla famiglia di origine e, a tal fine, mette in atto una serie di tecniche persuasive, soprattutto a livello comunicativo, che portano ad un inevitabile aumento della conflittualità coniugale. Il partner si ritrova davanti una persona completamente diversa, rigida e totalmente inglobata dalla nuova situazione fatta di nuove regole, nuovi valori e nuovi ideali.
Nel momento in cui ci si trova di fronte ad un cambiamento del genere non è facile riuscire a districarsi. È come se tutto perdesse di senso. Come diceva Huxley, la realtà non è ciò che ci accade ma quello che facciamo con quello che ci accade. La vita è fatta di significati che noi attribuiamo alle esperienze vissute, è una “costruzione simbolica della realtà che vede impegnato l’uomo sociale in interazione” (De Leo, Patrizi, De Gregorio, 2004, pag 61). Gli schemi mentali che ci accompagnano quotidianamente, e che muovono le nostre azioni, si costruiscono in interazione con il mondo sin dall’inizio della nostra vita e per tutto il corso di essa. Una famiglia non è da meno: è un sistema fatto di regole, di valori e di significati condivisi. Quando d’un tratto questi mutano, muta anche l’equilibrio di quel sistema. Intervenire in questi casi non è facile ma non è neanche impossibile. L’azione deve avvenire su due fronti: da una parte c’è l’intervento sul plagiato e dall’altra parte quello sul sistema famiglia in generale. Per quanto riguarda l’intervento individuale, in letteratura (Serra, 2002) si parla di deprogrammazione e di exit counseling. La prima sta ad indicare una vera e propria destrutturazione di un “programma” di condizionamento mentale messo in atto dall’autore di plagio: è un intervento in molti casi forte sia da un punto di vista fisico (il “plagiato” viene estromesso con la forza dal gruppo) che mentale (a causa delle tecniche usate) e non ottiene grandi risultati. A suo sfavore c’è la forte resistenza attuata dal plagiato che subisce l’intervento contro la propria volontà e si sa che il cambiamento passa attraverso la motivazione individuale. Nel secondo caso è prevista la presenza di una serie di esperti che collaborano con la famiglia e gli amici, in modo non coercitivo, per attuare tutte le strategie necessarie per riportare la persona al proprio contesto e al proprio ambiente.
L’azione sul sistema famiglia invece parte dalla convinzione, fermamente presente nelle autrici del capitolo, che l’ascolto e l’aiuto non debba limitarsi esclusivamente a chi è oggetto di plagio. Come già affermato in precedenza, la famiglia si trova catapultata in una realtà che fino a quel momento non gli apparteneva. Vengono messi in crisi gli equilibri fino ad allora esistenti e che avevano permesso la sua costruzione ed il suo mantenimento. Sopraggiungono sconcerto, confusione, sfiducia, paura, ansia, vergogna, sensi di colpa e smarrimento. Tutto ciò non può essere tralasciato. Quando una persona ci chiede aiuto, lo fa perché ha rotto il proprio equilibrio, perché sente di non riuscire ad agire e a dare un senso a ciò che gli sta accadendo. La vita individuale non è differente da un racconto, da una narrazione che ciascuno fa rispetto alle proprie esperienze. Quando una persona ci racconta la sua storia ci sta riportando i suoi schemi mentali, i suoi valori, i bisogni, le difficoltà, ciò che per lei è importante e, nello stesso tempo, con il nostro aiuto sta facendo chiarezza con se stessa. Accogliere la storia di una famiglia, di una moglie, di un marito, di un compagno, di un figlio che vive un momento difficile, come quello esposto qui sopra, permette innanzitutto alla persona di non sentirsi sola e, non ultimo, di ridare un senso a ciò che gli sta accadendo, di fare luce in un mondo che fino ad allora gli era oscuro, di affrontare le proprie paure e, soprattutto, di sentirsi finalmente attiva. Chi vive un’esperienza del genere si sente sola, abbandonata e impotente. L’impotenza deriva dalla percezione di aver subito qualcosa senza il proprio volere e senza poter agire diversamente. Francesca ha percepito proprio questo, rafforzato dai tentativi, sovente vani, di richiesta di aiuto. Il lavoro è una restituzione di senso, di significato, in primis alla propria vita e anche, e soprattutto, una ridefinizione di sé come parte attiva, fornendo gli strumenti in grado di agire sulla propria esistenza.
*”Plagio: osservazioni psicologiche” a cura delle Dott.sse Chiara Illiano e Rubina D’Errico, pp 95-99.
in un rapporto di amicizia frasi come “se sei davvero mia amica come dici, fai così”, “se mi vuoi bene, fai così/torna la persona che mi piace tanto”, “mi stai deludendo,pensavo mi volessi più bene di così”, “io non ho mai detto di esser perfetta, però”, “pensa come vuoi, visto che non mi credi” e dopo che tu rispondi “posso anche crederti ma vedo i fatti, che non sono molto diversi da come ho scritto”, sentir dire “non meriti altre risposte”… e simili come possono essere considerati?
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Gentile Alessandra, non posso dare una risposta certa e univoca alle tue domande perchè ogni relazione è a se, come ogni persona ed io non conosco nessuna delle due parti e neanche il contesto. mi viene però da chiederti (permettimi di darti del “tu”) come ti senti tu in una relazione amicale del genere e se hai detto a questa persona cosa provi di fronte alle sue frasi. L’assertività è la capacità di esprimere i propri pensieri e le proprie emozioni senza ledere l’altro e, quindi, nel rispetto dell’altro. ti consiglio di fare questo 🙂
resto a tua disposizione e ti mando un caro saluto
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Buongiorno, purtroppo la relazione è finita, anche se io patisco ancora. Ricordo una volta di aver risposto che sentir dire “se mi vuoi bene”, quando l’altra persona sapeva proprio che se c’era una persona che le voleva bene ero io… E diciamo che questo tipo di comunicazione avveniva sempre quando cercavo di dire qualcosa che non mi andava, mentre l’altra persona mi diceva sempre cosa non le andava di me, e asseriva di voler io facessi altrettanto….
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Cara Alessandra, credo sia importante che tu riesca a trarre da questa esperienza qualcosa di positivo per il futuro, cercando di capire (ma non in modo “ossessivo”) cosa non sia andato per il verso giusto: le tue responsabilità ma anche le tue emozioni e sensazioni quando eri in quella relazione. tutto questo non per rimuginare, ma per riuscire “a mente fredda” ad apprendere dall’esperienza e a far suonare eventuale campanellini d’allarme se e quando ti ritroverai in una situazione del genere. Questo ti permetterà, se fatto in modo corretto, anche di incrementare la tua autostima. impara a volerti bene!
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Buongiorno, La ringrazio, sicuramente questo mi ha fatto capire che devo dipendere meno dal giudizio altrui, e che se una persona vuole cambiarmi, che sia amica o fidanzato, non è me che vuole. Si può consigliare di cambiare, per aver meno problemi nelle relazioni future, ma non deve essere un’imposizione o pretendere che l’altro cambi per noi.
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concordo alessandra! si può cambiare se si vuole migliorare il nostro rapporto con noi stessi e con gli altri ma non per imposizione…anche perchè, generalmente, così si ottiene solo il risultato contrario.
un caro saluto
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Buongiorno, credo si possa cambiare e migliorare insieme, anche in un rapporto di amicizia… ma insieme e sentendo realmente l’amicizia…
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Mi sono accorta che mia figlia è vittima di plagio. Cosa devo fare per farle capire che sta vivendo sotto i comandi di un’altra persona. Ormai non è più lei, tutto quello che dice e che fa, mi accorgo che non è il suo essere. Cosa posso fare per salvarla?
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Buonasera Giovanna, posso solo immaginare la difficoltà che sta vivendo e la sofferenza provata. purtroppo non posso darle suggerimenti a riguardo perchè va sempre valutata la situazione nello specifico, soprattutto in ambiti così delicati. se vuole può contattarmi in privato
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