Quando si diventa genitori, accade un fatto strano e malaugurato. Si comincia ad assumere un ruolo, a recitare una parte, dimenticando di essere una persona. Una volta entrati nel sacro regno del ruolo genitoriale, si pensa di dover indossare la tonaca di genitore. In buona fede si assumono certi comportamenti perché si crede che i genitori debbano comportarsi così.
(Thomas Gordon)
Noi siamo ciò che ci hanno insegnato, ciò che abbiamo visto, ciò che abbiamo sentito. La nostra mente è composta di rappresentazioni mentali immagazzinate nel corso dell’esperienza ed unite insieme a formare schemi; sono questi a determinare i nostri pensieri, le nostre emozioni e le azioni conseguenti.
Sono una psicoterapeuta strategica, lavoro sul presente, su come si è strutturato e persiste il problema allo stato attuale; nonostante ciò è indubbio che gran parte di ciò che siamo ora deriva dalle esperienze vissute in passato, dalla nascita ad oggi. Le prime, ovviamente, hanno creato la nostra personalità, l’identità in senso ampio; ma sono le seconde a fare la differenza, quelle che ci permettono di modificare ciò che non è funzionale per il nostro benessere e per quello di chi ci circonda.
Sono più di 10 anni che lavoro con i genitori, sia in modo indiretto che in modo diretto (consulenze e terapie). Soprattutto nell’ultimo anno, grazie all’esperienza con l’Associazione Hikikomori Italia, ho avuto l’opportunità di stare quotidianamente a contatto con padri e madri che stanno vivendo un momento difficile a causa dell’isolamento del proprio figlio.
Se c’è una cosa che ho imparato in questi anni di attività è che ogni genitore si comporta con il proprio figlio convinto che sia nel suo interesse. Anche nei casi più gravi, in quelli socialmente e normativamente più “difficili”, la figura genitoriale non ha mai agito “volontariamente” contro il benessere del proprio figlio. Siamo ciò che la famiglia, la società, la cultura, le istituzioni, i gruppi di pari ci hanno trasmesso.
Vedo quotidianamente genitori che combattono per il benessere del proprio figlio, che si mettono in gioco, che ripartono da zero e che, troppo spesso, si ingabbiano nel senso di colpa!
In ambito psicologico non usiamo il termine “colpa”, è qualcosa che ci blocca, che ci inserisce in un circolo vizioso di rimuginazioni, di ricerca delle cause, di rivisitazione ossessiva di ciò che è accaduto sperando in qualche modo di dargli un senso, come se un senso potesse cambiare la situazione attuale. Il senso di colpa paralizza…il passato rimane nel passato, non si può cambiare!
Diverso, invece, è usare il termine “responsabilità” che ci rimanda all’azione, alla pro attività. Sono responsabile (in parte o completamente) di una certa situazione, ne prendo atto e cerco di cambiare ciò che non ha funzionato puntando a ciò che, invece, potrebbe migliorare lo stato attuale.
Troppo spesso i genitori vengono colpevolizzati, aumentando il loro senso di inadeguatezza già abbastanza sviluppato, ricordiamo che in passato le madri venivano “accusate”di aver reso il proprio figlio autistico… le cosiddette “madri frigorifero”. Quanta tristezza in tutto ciò, quanta responsabilità da parte di professionisti, istituzioni, società…li accusiamo di cose a volte gravissime senza dargli la possibilità di migliorare se stessi ed il rapporto con i propri figli. Ma chi pensa ai genitori? Molto spesso mi sento dire che tutti avrebbero bisogno di una psicoterapia, che un sostegno genitoriale dovrebbe essere prescritto sin dalla gravidanza. Non posso che essere d’accordo con questa ultima affermazione! Ma non perché i genitori abbiano un problema da risolvere, una colpa da espiare, ma solo perché non si diventa genitori per magia.
Nella citazione iniziale si parla di ruolo genitoriale, della tonaca di genitore di cui si veste la persona che mette al mondo un figlio. Comportamenti attuati tramandati da generazioni o, a volte, all’opposto di quello che abbiamo vissuto noi per non “ripetere gli errori dei nostri genitori”. Ma ognuno di noi è diverso, come diverso è ogni figlio che mettiamo al mondo: ha bisogno di sperimentare, di sviluppare la propria personalità, di comprendere chi è nel mondo e di sbagliare. Soprattutto di sbagliare! La responsabilità di un genitore è quella di educare, di far conoscere la realtà che ci circonda, di insegnare a vivere le proprie emozioni liberamente, di osservare e lasciare libero il proprio figlio di commettere errori, intervenendo quando è necessario dando un senso a ciò che è accaduto.
Nella vita si sbaglia, costantemente, nella vita si soffre, si combatte, si piange, si ride, ci si arrabbia…soprattutto nell’adolescenza, quanto ci si arrabbia!
Non ci chiudiamo nel senso di colpa, non prendiamoci una croce sulle spalle difficile da portare, non ascoltiamo chi ci dice che è colpa nostra…osserviamo le nostre responsabilità, cerchiamo di capire cosa non ha funzionato con nostro figlio (questo si) e proviamo strade nuove, cerchiamo qualcuno che ci aiuti a cambiare prospettiva e a trovare strategie funzionali.
Ma soprattutto ricordiamoci che siamo esseri umani anche noi, con i nostri bisogni e desideri da realizzare! Il sacrificio per il bene della famiglia o dei figli non ha mai funzionato, trasmette solo l’idea (erronea) che l’unico modo per vivere questa esistenza è sacrificarsi: è questo che volete trasmettere ai vostri figli? Sacrificio, senso di colpa e rimuginazione? Io vi auguro di volergli insegnare a scoprire se stesso, ad assumersi le proprie responsabilità, a ricercare la felicità e a combattere ogni giorno per cambiare ciò che non ci fa stare bene.
Concludo con una frase di Galimberti che, a mio avviso, racchiude uno dei tanti insegnamenti da trasmettere ai nostri figli
I luoghi del dolore vanno conosciuti subito, solo così ci si può attrezzare psicologicamente. Altrimenti, come posso pensare di reggere il dolore se non l’ho mai conosciuto? (Umberto Galimberti)
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