In questi giorni una gran parte degli italiani è a casa combattendo contro l‘influenza di stagione. No, non sono un medico, quindi non entrerò in discussioni mediche; ma sono una “vittima”, una vittima di questa influenza a quanto pare decisamente “potente”.
Sto male dal 22 dicembre e tutt’oggi sono in convalescenza. Malessere, disagio, noia…queste e altre sono le sensazioni che ho provato durante questo periodo!
Ma da brava psicologa, ho avuto anche modo di assistere ad un fenomeno particolare, ovviamente conosciuto e documentato da secoli: l’influenza reciproca tra mente e corpo.
Da professionista del settore, ho sempre centrato l’attenzione soprattutto sul potere della mente nei confronti del corpo (malattie psicosomatiche, stress etc…). In questi giorni invece mi sono concentrata sul meccanismo, apparentemente, opposto: l’influenza del fisico sulla mente! Alle prese con una diminuzione delle difese immunitarie, con debolezza, dolori e infezioni respiratorie varie, la mia mente si è stancata…mi sento di definirla così: una stanchezza che apre la porta a emozioni e pensieri disfunzionali. E a quel punto, tutto ciò che fino ad allora eri riuscito a tenere a bada, a razionalizzare, ad “ascoltare”, diventa qualcosa di più complicato da gestire e, a tratti, ti invade mettendo in dubbio le certezze che fino ad allora ti eri costruito.
Come una boa in un oceano in tempesta cerchi di trovare un appiglio, un “porto sicuro” ma sembra tutto così oscuro, lontano…confuso.
E allora ti torna alla mente un passo tratto da un libro di Daniel Goleman (p. 75-76, 1995) che parla de “il flusso dei sentimenti”:
Esiste un flusso di sentimenti di fondo che scorre perfettamente parallelo a quello dei nostri pensieri. Noi siamo sempre di un umore o dell’altro, sebbene di solito non ci sintonizziamo sugli stati d’animo che salgono e scendono come un flusso di marea durante la nostra routine quotidiana: si tratta dell’umore fosco o allegro di quando ci svegliamo e anticipiamo la giornata, della leggera irritazione scatenata da una frustrante viaggio per recarsi al lavoro, delle centinaia – o anche migliaia – di grandi e piccole emozioni che vanno e vengono con gli alti e bassi della giornata.
Nella fretta e sotto la pressione delle nostre giornate lavorative la mente si perde nel flusso di pensiero – i progetti per il giorno dopo, l’immersione di quel che si sta facendo, la preoccupazione per le cose non fatte. Per sintonizzarsi sul mormorio sotterraneo dell’umore, occorre una pausa mentale: un momento di tregua che raramente ci concediamo. I nostri sentimenti sono costantemente con noi, ma troppo raramente noi siamo con loro. Invece, di solito, acquisiamo la consapevolezza delle emozioni solo quando esse montano e traboccano. Se solo facessimo attenzione, potremmo percepirle quando sono più leggere, molto prima che assumano tale forza.
Il ritmo della vita moderna ci lascia troppo poco tempo per assimilare, riflettere e reagire. Il nostro corpo è adatto ad un ritmo più lento. Avremmo bisogno di tempo per riflettere, ma non lo abbiamo, o comunque non ce lo concediamo. Le emozioni hanno obiettivi e ritmi propri, ma le nostre vite precipitose non lasciano loro alcuno spazio – niente ore d’aria – e così esse vengono confinate sottoterra. Tutta questa pressione mentale lascia fuori, escludendola, una voce interiore più tranquilla, una guida interiore di cui potremmo servirci per navigare nel mare della vita.
Le persone incapaci di conoscere i propri sentimenti sono tremendamente svantaggiate (…) Per alcuni la “sordità” emotiva consiste nell’ignorare i messaggi che il corpo sta cercando di inviare loro – nella forma di mal di testa cronici, mal di schiena e attacchi d’ansia – avvertendoli che qualcosa non va…
E così torno alla definizione di “meccanismo apparentemente opposto” e ti rendi conto che tanto opposto non è. Sono le difese immunitarie abbassate ad aver permesso a questo flusso di emozioni di invadere il tuo “Io” oppure sono proprio queste emozioni, a cui non hai dato abbastanza spazio, ad aver appesantito il tuo stato fisico?
Penso che, come al solito, la verità sta nel mezzo…le emozioni negate sono emozioni che prima o poi vengono a bussare alla porta e, come dice Goleman, ne acquisiamo consapevolezza solo quando montano e traboccano.
Le confiniamo sottoterra, non riuscendo a concederle lo spazio ed il tempo che meritano e così si accumulano…e sappiamo bene che molto spesso sono solo quelle negative ad accumularsi!
Avrei avuto queste ricadute psicologiche ed emotive se mi fossi presa del tempo per me? per vivermi le emozioni concedendogli spazio? Ho preso spunto da un male di stagione solo come occasione per ricordare che le emozioni sono uno dei pochi modo che la nostra mente ed il nostro corpo hanno di comunicare.
Pensare che non ci sia un legame tra i due apparati è utopico, quindi sta a noi scegliere se “darci una regolata” e concederci del tempo, oppure continuare a vivere non vivendo veramente!
E come ci dice sempre Goleman (p. 76), basta poco in realtà:
Un modo (…) per entrare in contatto con questa voce, profonda e tranquilla, del sentimento: si tratta di passare del tempo “senza fare nulla”. Non fare nulla di produttivo significa non solo non lavorare, ma anche non riempire il proprio tempo con attività che lo sprechino, come, ad esempio, guardare la TV o, peggio ancora, fare qualcos’altro con la TV accesa. Invece, significa mettere da parte, per quel momento, tutte le altre attività finalizzate e fare qualcosa che apra la nostra mente ad una sensibilità profonda e silenziosa.
Allora che ne dite? ci vogliamo provare a passare del tempo senza fare nulla? Anche solo 5 minuti al giorno! O ci avete già provato e avete iniziato ad apprezzare questi momenti apparentemente “inutili”?
Se vi va raccontatemi la vostra storia!