Hikikomori (PT.1): Caratteristiche del fenomeno

Hikikomori-ItaliaEra da poco passato l’inizio dell’anno (2018) quando ci siamo incontrate per la prima volta ad un tavolo assieme alla coordinatrice del Lazio dell’Associazione Hikikomori Italia Anna Laura Bergesi per discutere di una possibile collaborazione…ed è stato “amore professionale” a prima vista. Da poco eravamo entrate a conoscenza di questo fenomeno sconosciuto ai più nel nostro paese, difficile anche da ricordare come nome. A quell’ incontro sono seguite letture appassionanti nazionali (grazie soprattutto al fondatore dell’Associazione Marco Crepaldi) ed internazionali, incontri con i genitori che vivono questa condizione ogni giorno (durante i gruppi di auto/mutuo aiuto) e colloqui con alcuni ragazzi che hanno destrutturato ogni tipologia di setting che fino ad allora conoscevamo.

Abbiamo così iniziato questo viaggio che ci ha portato a conoscere gente con una grande sensibilità e capacità proattiva, in grado di mettersi in gioco per aiutare i propri figli e di condividere con gli altri genitori dolore e speranze.

In questi mesi abbiamo svolto seminari, contattato scuole, incontrato colleghi, progettato iniziative che ci vedranno protagonisti da settembre.

Ora ci piacerebbe condividere questo viaggio con voi, con una serie di articoli che trattano l’argomento sotto diverse angolature, il primo, essenziale, serve ad entrare nel mondo degli Hikikomori.

Chi sono gli Hikikomori?

Hikikomori is not just a Japanese phenomenon but also a human dilemma that can be seen in most societies (Saito, 2013)

Questa è la frase che per noi maggiormente rappresenta il senso di questo fenomeno e la nostra prospettiva a riguardo, non crediamo ci sia bisogno di commento…

isolamento-socialHikikomori è un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte” e viene usato per definire chi “decide” di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (mesi o anni), senza nessun contatto con il mondo esterno. L’hikikomori è una spinta all’isolamento che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate ci spiega Marco Crepaldi sulla scia di numerose ricerche scientifiche internazionali: non riguarda solo il Giappone ma anche l’America, l’Asia, l’Europa (Spagna, Gran Bretagna, Italia) e l’ Australia. Ma facciamo un piccolo passo indietro perché, per comprendere il fenomeno, bisogna partire dal Giappone.

Nonostante già dal 1978 si parlasse di “nevrosi da ritiro” e nel 1980  di “sindrome da rifiuto scolastico”, è nel 1998 che, per primo in un testo scientifico, lo psichiatra giapponese Tamaki Saito usò il termine “Hikikomori”, termine che fino ad allora veniva usato nel gergo comune proprio per riferirsi a persone in isolamento sociale volontario.

In Giappone i dati sono allarmanti: 1.2% della popolazione (2% di quella giovanile) secondo le associazioni di settore, 541.000 casi secondo il Governo Giapponese, di età compresa tra i 15 ed i 39 anni (non vengono quindi considerati i casi di over 40 ossia della seconda generazione di Hikikomori). Nel nostro paese non esistono statistiche ufficiali, ma si parla di più di 100.000 casi in aumento negli ultimi anni.

Quali sono le caratteristiche dell’ Hikikomori?

  1. Isolamento prolungato e nessun contatto con il mondo esterno

Il Governo Giapponese nel 2003 parlava di 6 mesi di isolamento, altre ricerche di 3 mesi. Alcuni studiosi sottolineano la necessità di non prendere in considerazione un arco temporale, facendo  giustamente notare che aspettare 6 mesi di isolamento è dannoso e controproducente, rendendo difficile l’intervento su un disagio già strutturato e che, probabilmente, ha generato come conseguenza problematiche psicologiche.

Rispetto al contatto con il mondo esterno, in Giappone molto spesso questi ragazzi non hanno nessun contatto neanche con i familiari. Negli altri paesi del mondo, invece la situazione sembra essere meno netta: in Italia, ad esempio, si mantengono i contatti con la famiglia (sebbene siano conflittuali) e talvolta con gli amici più stretti…anche se è facile immaginare come, dopo un ritiro prolungato, si possano perdere i rapporti anche con questi ultimi.

2. Ritiro da scuola

Anche in questo caso il Giappone la fa da padrone: l’ Hikikomori giapponese si ritira definitivamente dalla scuola, dall’università e da eventuali corsi di formazione. L’Hikikomori americano, al contrario, tende a mantenere la frequenza scolastica o universitaria manifestando il disagio in altri modi. In Italia abbiamo casi di persone che fanno assenze prolungate da scuola, che sono all’università ma danno pochi esami, che frequentano saltuariamente corsi di formazione, che  studiano da privatisti.

3. Assenza di psicopatologie causa del ritiro

Su questo aspetto, invece, tutti gli studiosi nazionali e internazionali concordano: nel momento del ritiro non devono esserci altre psicopatologie che possano spiegare il rifiuto del contatto sociale. Questo aspetto è molto importante, anche perché spesso gli stessi professionisti del settore creano molta confusione…in primis nei genitori! Si parla quindi di un Hikikomori primario: Depressione, disturbi psichiatrici, disturbi d’ansia etc…non sono causa del ritiro. Essi possono insorgere (assieme ad altre psicopatologie) in una fase successiva, e da qui la necessità di un intervento precoce, come conseguenze di un prolungato isolamento.

L’identikit dell’Hikikomori giapponese vs Hikikomori italiano

welcome-to-the-NHK-anime-about-HikikomoriMaschio: in Giappone il 90% degli Hikikomori sono di sesso maschile, il 10% femminile. Nel nostro paese la distinzione non è così netta, come mai? Perché in Giappone gli uomini sono coloro che ricevono le maggiori pressioni sociali: il loro compito è quello di lavorare duramente per mantenere la famiglia. Carla Ricci, antropologa studiosa del fenomeno e collaboratrice della cattedra di psicologia clinica di una delle università del Giappone, ci racconta proprio come sia rimasta colpita da questi uomini tutti uguali, con la stessa espressione in volto, che la mattina si recano a lavoro a testa bassa e ne escono solo dopo moltissime ore. Sovente i padri giapponesi non cenano neanche con la loro famiglia, tornando tardissimo la sera, quando i figli sono già a letto.

Le madri, invece, solo coloro che gestiscono la casa e la famiglia materialmente. Questo non significa solo occuparsi della pulizia, dei figli, della spesa etc…ma anche di gestire gli aspetti finanziari, occuparsi dei soldi che il marito porta a casa. Da questo possiamo ben comprendere come il numero di femmine hikikomori sia così basso in Giappone, non avendo così tante pressioni sociali, mentre una delle altre caratteristiche dell’ Hikikomori nipponico sia l’avere un padre assente.

Primogenito o figlio unico di una famiglia di classe sociale medio/alta e con elevato livello di istruzione: questo vale anche per il nostro paese, essendo facile comprendere come queste caratteristiche possano, inevitabilmente, portare allo strutturarsi di maggiori aspettative, più o meno esplicite, da parte dei genitori.

Madre ipersensibile  ed eccessivamente emotiva: questo non significa “empatica”. La maggior parte dei ragazzi giapponesi, infatti, lamenta una scarsa capacità della madre di stabilire un contatto emotivo adeguato con loro, di entrare in “empatia” e di condividere stati d’animo ed emozioni.

Vi abbiamo descritto le principali caratteristiche del fenomeno Hikikomori, vi invitiamo a commentare o fare domande tenendo in considerazione che questo è solo il primo articolo a cui seguiranno altri sull’argomento.

[Questo articolo è stato scritto congiuntamente dalla Dott.ssa Chiara Illiano e dalla Dott.ssa Rosanna D’Onofrio]

Informazioni su Dott.ssa Chiara Illiano

Psicologa, psicoterapeuta, esperta in psicologia giuridica. Coordinatrice Area Psicologica Associazione Hikikomori Italia per il Lazio Formatrice e docente.
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4 risposte a Hikikomori (PT.1): Caratteristiche del fenomeno

  1. Manuela ha detto:

    Molto interessante, grazie. Immagino ci saranno approfondimenti su cause e possibili vie di aiuto. Anche se già da queste righe mi sembra di cogliere che una parte importante sia attribuibile alle aspettative e alla incapacità di affrontarle-gestirle. Autostima, consapevolezza di sè, rigidità dei ruoli, mancanza degli “strumenti” per affrontare un mondo esterno visto come un pericoloso nemico. Insomma, attendo il seguito!

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