Hikikomori (Pt.3): Quali sono le cause e come si diventa isolati sociali?

100057190-8be4a7dc-a618-4693-ad40-4f03d044c798Nei precedenti articoli abbiamo affrontato il fenomeno descrivendo le caratteristiche principali, ora entriamo un po’ più nel dettaglio di ciò che porta una persona a ritirarsi dalla vita sociale e come si sviluppa questo isolamento

Ma come si diventa Hikikomori?

Per Tamaki Saito può essere per puro caso: Chiunque può diventarlo, anche se alcune persone affermano il contrario. Può cominciare per il semplice caso. L’atteggiamento dei genitori nei tuoi confronti, la scuola che frequenti, dove vivi… tutti questi fattori combinati assieme posso portare a farti diventare un hikikomori o meno.

Sicuramente, a livello mondiale e quindi anche nel nostro paese, sono stati riscontrati degli eventi comuni nelle storie di chi inizia un processo di isolamento sociale: insuccessi scolastici (bocciature, esami non superati, ammissione all’università mancata etc…), atti di bullismo più o meno gravi, conflitti con i coetanei e difficoltà nelle relazioni in generale. Fattori biopsicosociali, culturali, ambientali (inclusi quelli famigliari e scolastici) sono, quindi,  tutte possibili cause dell’ Hikikomori (Kato et al 2012). Ma il nostro è un approccio sistemico e relazionale ed in quanto tale non può che prendere in considerazione il sistema nella sua totalità.

C’è un malfunzionamento del sistema di comunicazioni tra l’individuo, la famiglia e la società (Saito ,2003) : una causalità di tipo circolare con influenze reciproche, non lineare. Ed in quanto tale il problema non è il ragazzo, piuttosto esso si può ritrovare nel sistema di comunicazioni e relazioni che si è “rotto”; affinché il ragazzo possa cambiare è necessario che lo facciano anche gli adulti (Fogel, Kawai, 2006). L’azione deve essere incentrata sul sistema, anche perché il ragazzo Hikikomori è egosintonico, ossia non riconosce di avere un disagio e questo lo porta a rifiutare ogni tipo di aiuto e, qualora lo accettasse, a boicottare inconsciamente ogni forma di intervento a causa della scarsa motivazione. Agendo, invece, su una altra parte del sistema (la famiglia) si ottiene il cosiddetto “effetto domino”, generando un cambiamento nell’intero sistema e, di conseguenza, nella persona in isolamento. In uno dei prossimi articoli spiegheremo meglio l’intervento messo a punto dall’Associazione in questi casi.

Quali sono le fasi dell’isolamento sociale?

sadnessSecondo l’esperienza dell’ Associazione si possono raggruppare in 3 fasi principali che non sono statiche, bensì la persona può muoversi tra di esse alternando periodi di miglioramento ad altri di regressione

 

  1. nella prima fase la persona inizia a percepire malessere nelle relazioni sociali e cerca di rifugiarsi nell’isolamento che prova comunque a combattere mantenendo relazioni interpersonali. Il ragazzo comincia a saltare la scuola, a rinunciare agli hobby e a privilegiare attività solitarie;
  2. nella seconda fase si incrementa questa tendenza alla solitudine, giustificando il rifiuto di “connettersi” con gli altri e con la società in generale con motivazioni altamente razionali e logiche, potenziando l’attività online (social network, chat e giochi). I ragazzi hikikomori sono, infatti, assolutamente razionali e con una logica di ferro, se parlate con loro vi rendete conto di non poter controbattere alle loro argomentazioni: la società corrotta, la mancanza di empatia, il futuro lavorativo incerto…certo, vi rendete anche conto che la loro visione è particolarmente negativa, ma le motivazioni alla base chi può non condividerle? Un discorso a parte andrebbe fatto sull’attività online, ma le dedicheremo un articolo ad hoc.
  3.  nella terza fase viene meno anche quanto descritto in precedenza: nessun contatto con amici o conoscenti in rete, chiusura totale verso i genitori, isolamento nella propria stanza e alterazione completa del ciclo sonno/veglia, elevato rischio di sviluppare psicopatologie.

Soprattutto nel caso degli hikikomori giapponesi la famiglia è completamente in scacco: la persona esce solo per andare in bagno ed il tragitto deve essere vuoto, nessuno deve essere presente altrimenti l’hikikomori risponderà in maniera aggressiva. Il genitore (solitamente la madre) lascia il cibo fuori dalla porta o lo fa passare attraverso una fessura. Tutta la famiglia è costretta ad assolvere alle sue volontà

Ma torniamo alla frase di Saito per cui tutti possono diventare Hikikomori. Ci ha colpito una parte della sua intervista in cui gli veniva chiesto se avesse mai pensato di diventare Hikikomori…lo psichiatra risponde in modo affermativo e sfidiamo chiunque ad affermare il contrario: chi di noi non ha mai provato il desiderio di staccare dal mondo esterno e chiudersi nella propria stanza prendendo una pausa?

paura-isolamentoProprio questo è un tema ricorrente in chi studia il fenomeno: il concetto di “pausa”. Tempo fa, in una chat con un ragazzo isolato da più di 10 anni, una di noi si è sentita dire proprio questo: volevo prendermi una pausa dal mondo esterno, chiudere ogni tipo di relazione e concentrarmi su me stesso…ma poi gli anni sono passati, e non so neanche come, ed ora NON SO -ANCHE SE NE PROVO IL DESIDERIO- come fare per tornare nel mondo “reale”, non ho gli strumenti!

Queste parole sono molto forti per chi le legge con mente e cuore aperto. Ci troviamo di fronte ad una persona che, pur volendo, non ha più le competenze per tornare a relazionarsi con gli altri…letteralmente non sa come fare! La stessa Carla Ricci pone luce su questo aspetto e ci racconta il suo mese di Hikikomori,  isolamento voluto per comprendere meglio il fenomeno. Nelle pagine del suo libro ci racconta come i primi giorni fossero accompagnati da un forte senso di libertà, dalla capacità di lasciar fluire i pensieri senza preoccupazioni o stress…ma già dopo il primo periodo sono sopraggiunti i primi segnali di malessere: tristezza, apatia, stato ansiogeno. Chi ha familiarità con gli studi di psicologia generale riguardanti la percezione sa bene quanto uno stato di deprivazione sensoriale (in questo caso stimolazioni esterne e relazioni interpersonali) possa condurre a vere e proprie psicopatologie in breve tempo. Ebbene l’autrice ci descrive con quanta fatica è tornata dopo un “solo” mese a riprendere la vita che aveva lasciato, quanto una volta uscita da casa avesse provato stati ansiosi di fronte agli stimoli esterni, al caos cittadino ed alle persone che incontrava per strada. Per questo, e per altri motivi, Tamaki Saito afferma di non aver mai ceduto all’Hikikomori, perché sebbene tu voglia “proteggere te stesso tagliando le connessioni sociali quando sei esausto o particolarmente stressato. So che non ci sono bottoni di emergenza [di fuoriuscita N.d.r.].”

Nel prossimo articolo risponderemo ad una delle principali domande sul fenomeno: l’ Hikikomori è una patologia?

[Questo articolo è stato scritto congiuntamente dalla Dott.ssa Chiara Illiano e dalla Dott.ssa Rosanna D’Onofrio]

Informazioni su Dott.ssa Chiara Illiano

Psicologa, psicoterapeuta, esperta in psicologia giuridica. Coordinatrice Area Psicologica Associazione Hikikomori Italia per il Lazio Formatrice e docente.
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