Le 8 regole per migliorare l’autostima dei propri figli

autostima-bambiniUltimamente incontro spesso genitori che mi (e si) rivolgono più o meno la stessa domanda: come posso migliorare l’autostima di mio/a figlio/a? Come qualcuno potrà ben immaginare, non è un processo facile, soprattutto quando la giovane persona in questione è ormai adolescente o adulta e la sua autostima si è già in parte (o completamente) strutturata.

Ma facciamo un passo indietro: cos’è l’autostima? In un precedente articolo avevo trattato proprio questo argomento affermando che

Il termine autostima  significa avere una buona immagine di sé, apprezzarsi ed essere consapevoli delle propri effettive capacità.

Avere una buona autostima permette di sentirsi “bene”, appagati, di avere un buon rapporto sia con sé stessi che con gli altri ma non solo; essa permette di impegnarsi per raggiungere i propri obiettivi che vengono visti come possibili. Queste componenti influenzano ogni aspetto della vita sia individuale che relazionale e lavorativa.

L’autostima è qualcosa di appreso, inizia a costruirsi dalle primissime esperienze di vita e trae nutrimento dai feedback ricevuti nel corso degli anni. Essa ha un andamento oscillatorio, cambia nel corso del tempo; ha una componente cognitiva, affettiva e valutativa ed ha una stretta correlazione con il concetto di “identità”

Questo non significa, quindi, che non si possa agire se non nei primi anni di vita, ma solo che sicuramente “lavorare” sull’autostima dei propri figli sin dall’inizio facilita di molto le cose sia per il bambino che per i genitori.

genitori-famigliaMa cosa può fare un genitore per il proprio figlio a tutte le età? Le regole sono poche ma fondamentali. Provo a riassumerle brevemente:

  1. Dare il buon esempio! Il bambino (e anche l’adolescente) impara da ciò che vede e dalle esperienze che fa. Non possiamo chiedere a nostro figlio di essere quello che noi non siamo! Non possiamo chiedergli, ad esempio, di non essere ansioso se noi non gli permettiamo neanche di mettere il naso fuori casa senza riempirlo di avvertimenti su eventuale pericoli che può incontrare. Non possiamo chiedergli di confidarsi con noi e parlare di come si sente se noi siamo i primi a non comunicare in famiglia, a nascondere le nostre emozioni e a minimizzarle (“mamma che hai? “chiede il figlio vedendo la mamma triste, “niente, sto bene” risponde la mamma con le lacrime agli occhi). Non possiamo chiedergli di mettersi in gioco, di affrontare la scuola o le relazioni con i pari, se non gli abbiamo insegnato che gli “imprevisti” ci sono e che tutti abbiamo fallito e ci siamo rialzati seppur doloranti.

 

  1. Non lodarlo e non frustrarlo eccessivamente. Per molti anni si è portata avanti l’idea che un bambino felice fosse un bambino lodato e riempito di attenzioni. Niente di più sbagliato! Un bambino del genere viene solo chiuso in una campana di vetro e non sarà mai in grado di affrontare il mondo. Un bambino felice è un bambino che viene lodato quando fa qualcosa di buono ma che viene anche puntualmente “frustrato” (e che impara a vivere e a superare le frustrazioni) quando fa qualcosa di negativo. Queste indicazioni valgono ad ogni età. Evitiamo frasi tipo “sei bravissimo, sei un fenomeno, sei il più bello e bravo di tutti”, o anche “ non sei buono a nulla, sei una persona cattiva, non è possibile che tu sia in grado di combinare solo disastri”, oppure “hai visto lui come è bravo? Così si comportano le persone brave!” “vuoi diventare cattivo come lui?”. La verità anche in questo caso sta nel mezzo…e attenzione perché ho citato solo le frasi “estreme”, ma esistono molte dichiarazioni più insidiose perché si mascherano da frasi “neutrali”, che di neutrali non hanno proprio nulla, come ad esempio “dovresti aver voglia di studiare”, “dovresti aiutarmi perché sono tua madre ed ho fatto tanto per te” etc…

 

  1. Permettere una buona conoscenza e consapevolezza delle emozioni. “dovresti Strichmnnchen mit Muskelnessere felice perché non ti manca nulla”, “alla tua età dovresti voler uscire con i tuoi amici invece che stare tutto il tempo davanti al pc”…ecco altre due frasi “killer” che di certo non aiutano una buona autostima personale. Come ci insegna Giorgio Nardone, stiamo cercando di far provare a qualcuno qualcosa che dovrebbe venire spontaneo: dovresti essere felice, arrabbiato, triste, sorpreso etc…qui entriamo nell’ambito delle emozioni, ossia di qualcosa che dovrebbe essere provato spontaneamente.

Quanto più i genitori intensificano i propri sforzi, impedendo al figlio di essere sponteno nelle sue reazioni, tanto più il bambino sperimenta sentimenti di inadeguatezza (Nardone et al, 2012 pag 159).

Insegniamo piuttosto ai nostri figli che le emozioni sono tante, alcune positive ed altre negative e che è normale sperimentale tutte a prescindere dal sesso, dall’età e dalla condizione “oggettiva” in cui ci troviamo. Anche qui, diamo il buon esempio, parliamo delle nostre emozioni, di come un film ci può rendere triste, di come un litigio ci ha fatto arrabbiare, di come una situazione lavorativa ci frustrato, di come un incontro con un amico ci ha reso felice e di come, alla sua età, ci sentivamo.

 

  1. Attuare una comunicazione efficace e coerente e stabilire regole chiare. I bambini, e ancor di più i ragazzi, hanno bisogno poche regole ma chiare e coerenti. Hanno bisogno di sapere che il genitore c’è, che è una figura autorevole e presente. Questo non significa assillare il figlio con una quantità infinita di regole (che proprio per la loro quantità non potranno essere rispettate) oppure sgridarlo urlando o ancora mettendolo in punizione in ogni occasione. Significa bensì aver stabilito poche regole che vengono SEMPRE fatte rispettare con tono fermo e deciso, regole chiare, punire il figlio quando lo merita. Tutto ciò invia al ragazzo un messaggio fondamentale: noi ci siamo, siamo qui per te ma nello stesso tempo c’è bisogno anche del tuo impegno per raggiungere i tuoi obiettivi.

 

  1. Non pressarlo, non rassicurarlo e non sostituirsi a lui. Alla maggior parte dei genitori viene istintivo fare le seguenti cose: pressare (in modo più o meno implicito) il figlio per raggiungere standard elevati, rassicurare di fronte ai problemi, agire a nome suo. Mentre nel primo caso (quello delle pressioni) risulta più intuitivo comprendere l’errore commesso, spesso non lo è negli altri casi citati.

autostima-300x225La rassicurazione è un’arma a doppio taglio: da una parte, infatti, gli stiamo dicendo che gli vogliamo bene e che ci preoccupiamo per lui, dall’altra gli stiamo comunicando che non è in grado…ed è qui che l’autostima viene intaccata! E allora invece che rassicurare proviamo a rimandare a lui le scelte “rimpallando” la domanda: “tu che cosa ne pensi?”, “tu che cosa faresti?”. Anche nel caso dell’agire a nome dell’altro ciò che stiamo comunicando è similare: il “lascia, faccio io” (Nardone et al, 2012), infatti, è un messaggio implicito di squalifica della persona, un “faccio io perché tu non sei in grado”, “faccio tutto per te perché forse da solo non ce la faresti”. “Lascia che cucini io, lascia che sparecchi io, lascia che sistemi io la tua camera”…quanto spesso abbiamo detto queste frasi convinti di fare la cosa giusta? O altre volte frustrati dal fatto che nostro figlio non si impegnasse nel raccogliere i panni sul suo letto o per terra? E così piuttosto che “perdere tempo” a ripetere sempre le stesse cose, o pur di non vedere la casa in certe condizioni, ci siamo sostituiti. Attenzione però, perché sia la rassicurazione che il sostituirsi all’altro, come già visto, sono un’arma letale per l’autostima.

  1. Pensare a nome suo. Questo è un altro errore comune: spesso diamo per scontato che ciò che prova l’altro è ciò che sperimenterei io se fossi nella sua stessa situazione o, ancora peggio, che sono in grado di decifrare in modo assolutamente certo ciò che stai provando. “perché sei così arrabbiato?” chiede la madre al figlio dando per certo che quest’ultimo sia realmente arrabbiato! Quanto spesso siamo caduti in questa trappola? Anche in questo caso riporto un brano tratto dal libro di Nardone “Aiutare i genitori ad aiutare i figli” (p.162):

Una ragazza di quindici anni, improvvisamente, si chiude in camera sua, passa ore al computer, spesso piange, si guarda allo specchio e si rifiuta di indossare quasi tutti i vestiti che possiede. Lei, che era stata sempre un libro aperto per la madre, non si confida più, ansi appare irritata e nervosa. Può capitare che i genitori inizino, senza rendersene conto, il copione del “chi cerca trova”, ripetendole che c’è qualcosa che non va, che sono molto preoccupati per lei, che quello che sta facendo non è normale: “non ti piaci abbastanza”, “sei troppo insicura” sono solo alcune delle attribuzioni che i genitori formulano nel tentativo di capire la situazione. In realtà, tali affermazioni reiterate finiscono per innescare l’effetto profezia [“profezia che si autorealizza” Ndr], fino a quando la figlia si convince che in lei c’è davvero qualcosa che non va. Quelle che inizialmente erano semplici reazioni a una difficoltà momentanea, legata alla fase di sviluppo adolescenziale, ridefinite come un problema di insicurezza da parte dei genitori, finiscono con il crearlo”.

 

  1. Domandare più che affermare. Ricollegandomi al punto precedente, ecco ora una strategia fondamentale per aiutare il proprio figlio a migliorare la sua autostima: “domandare piuttosto che sentenziare” (Nardone, Salvini 2004). Non diamo per scontato di avere una spiegazione ed una soluzione a tutto, questo non fa altro che indispettire l’altro e porlo in una prospettiva di chiusura (nel migliore dei casi) o di attacco. Proviamo invece a mostrare una curiosità propositiva ma non invadente: “correggimi se sbaglio, mi sembra che tu sia triste oggi, è solo una mia impressione?” “potrei sbagliami ma mi sembri arrabbiato”. Questa modalità comunicativa ottiene due effetti: il primo permette all’altro di rimanere protagonista senza che nessuno “gli metta le parole in bocca” e di sentirsi libero di parlarne qualora lo volesse (cosa che molto spesso avviene); il secondo stimola una riflessione nella persona che magari, fino a quel momento, non si era reso conto di provare quella determinata emozione ma che, di fronte ad una comunicazione non invadente, si sente libero di esplorare.

 

  1. o1142.impossiblePermettergli di sbagliare e creare una piccola prova da superare. Abbiamo già accennato a quanto il “fallimento” sia indispensabile per la creazione di una buona autostima: tutti i più grandi hanno sbagliato, come diceva Edison “Non ho fallito, ho solamente provato 10.000 metodi che non hanno funzionato” 

Gli errori, se ben gestiti, sono un trampolino di lancio per il successo futuro! Ma in certi casi il solo comunicarlo al proprio figlio non basta, soprattutto quando la sua autostima è già da tempo compromessa. E allora a questo punto arriva una piccola strategia in nostro aiuto, ossia il fatto di mettere nostro figlio di fronte ad una piccola sfida quotidiana, qualcosa che ovviamente il proprio figlio possa superare ma che verrà incrementata con il tempo in base ai risultati ottenuti. Possono essere piccoli boicottaggi rispetto a qualcosa che solitamente facciamo al posto suo, oppure possiamo chiedergli di fare qualcosa al posto nostro, o ancora creargli una piccola difficoltà che deve superare. Tutto ciò andrà, in modo non traumatico e privo di pressioni, ad incrementare la propria autostima, dimostrando alla persona che è in grado di fare, di superare ostacoli e di uscirne vincente. Nello stesso tempo, il fatto che le sfide saranno comunque piccole e commisurate alle sue capacità permetterà, qualora ci fosse un fallimento, di sviluppare comunque con il tempo una sorta di immunità che lo porterà a sopportare anche eventuali frustrazioni che la vita sempre ci pone di fronte.

Vi ho presentato qui le 8 principali regole per incrementare l’autostima dei propri figli. L’argomento, ovviamente, è lungo e complesso e richiederebbe un approfondimento ulteriore. A tal proposito vi rimando a due testi che consiglio spesso ai genitori che incontro (sia pazienti che amici):

Nardone G. (2012), Aiutare i genitori ad aiutare i figli, Ponte alle Grazie, Milano

Fiorenza A. (2000), Bambini e ragazzi difficili, Ponte alle Grazie, Milano

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Informazioni su Dott.ssa Chiara Illiano

Psicologa, psicoterapeuta, esperta in psicologia giuridica. Coordinatrice Area Psicologica Associazione Hikikomori Italia per il Lazio Formatrice e docente.
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