[Articolo scritto congiuntamente dalla Dott.ssa Rosanna D’Onofrio e dalla Dott.ssa Chiara Illiano]
Quando si tratta il fenomeno dell’Hikikomori è impossibile non considerare la struttura familiare. Nel nostro lavoro e nel nostro studio abbiamo riscontrato delle differenze sostanziali tra la famiglia dell’hikikomori giapponese e la famiglia dell’hikikomori italiano. In questo articolo partiamo da un’analisi della famiglia dell’hikikomori giapponese per poi arrivare all’analisi della famiglia dell’hikikomori italiano.
La famiglia giapponese è caratterizzata da una madre psicologicamente e fisicamente presente e vicina e da un padre assente, sempre al lavoro, con un ruolo piuttosto marginale. In Giappone la moglie assolve tutti i compiti: gestione della casa, dei figli e delle finanze che vengono trasferite integralmente dal marito.
La famiglia dell’hikikomori giapponese è generalmente “normocostituita”, senza separazioni, divorzi o altre problematiche interne. Infatti, in Giappone, c’è un forte rispetto nei confronti della famiglia e capita sovente che un giovane viva con essa fino anche all’età di 30–35 anni. Questo comportamento non viene considerato come un atteggiamento immaturo o negativo, bensì rappresenta la devozione filiale tipica della cultura confuciana che sostiene l’amore filiale e l’attaccamento alla famiglia e che viene sostenuta anche dal concetto di “amae”, sostantivo del verbo “ameru”, che significa “dipendere da”.
Il primo a descrivere l’idea di amae è stato Takeo Doi (1920– 2009), uno psicoanalista giapponese. Nel suo libro Anatomia della dipendenza, pubblicato per la prima volta nel 1971, descrive l’amae come il rapporto tra la madre ed il bambino, che si consolida nei primi mesi di vita del neonato; tale rapporto implica che madre e bambino costituiscano un tutt’uno. Il comportamento delle madre giapponese è di completa dedizione e iperprotezione. Questi comportamenti sacrificali svilupperanno nel figlio sentimenti di obbligo verso la madre e questa obbligatorietà verrà traferita in ogni relazione sociale. Appare chiaro che le famiglie giapponesi dei ragazzi hikikomori risultano generalmente disfunzionali nel preparare i figli all’indipendenza richiesta dal moderno contesto sociale ed economico (Furlong, 2008). Solitamente l’educazione è permissiva, indulgente e tollerante.
Un’altra caratteristica fondamentale è data dall’assenza del padre. Questa assenza è fisica, dato che spetta al padre lavorare e quindi stare molte ore lontano da casa. Invece la figura patriarcale che egli rappresenta è sempre ben presente, forte ed invadente. Infatti, è attorno ad essa che si creano le aspettative nei confronti del figlio che dovrà portare sempre il padre come esempio, specialmente se primogenito e maschio, futuro capofamiglia della generazione successiva. In Giappone sono presenti molti casi di violenza domestica agita dal figlio hikikomori verso la madre. Questa violenza può essere spiegata dal fatto che, con il tempo, l’amae si sviluppa in un atteggiamento di iperprotezione della madre verso un ragazzo (e non più un bambino) che potrà reagire in modo ambivalente:
– approfittando di queste eccessive attenzioni, questo è il caso dell’Hikikomori che mette sotto scacco la madre costringendola ad esempio a lasciargli il cibo fuori la porta della propria camera;
-oppure sentendosi oppresso. L’oppressione può portare alla nascita di comportamenti violenti verso i genitori, soprattutto verso la madre. Proprio per il sentimento di vergogna che riveste la famiglia giapponese, i genitori difficilmente denunciano e in alcuni casi si arriva ad abusi e omicidi.
In Italia il fenomeno dell’ Hikikomori assume le stesse caratteristiche del Giappone: ritiro prolungato, assenza di contatti con il mondo esterno e fobia scolare. Ci sono, però, delle differenze per quanto riguarda la struttura familiare. Prima di trattare la famiglia dell’hikikomori italiano, ci teniamo a puntualizzare che ciò che abbiamo osservato non sono delle costanti presenti in tutti i casi di isolamento sociale volontario, ma sono degli elementi ricorrenti in molti casi da noi studiati nel nostro lavoro presso l’ Associazione Hikikomori Italia.
Innanzitutto vogliamo sottolineare il fatto che, mentre in Giappone il fenomeno si manifesta in famiglie “normocostituite”, in Italia si osserva una prevalenza del fenomeno in famiglie monoparentali o comunque dove ci sono casi di separazione e divorzi.
La mamma dell’hikikomori italiano è una mamma iperprotettiva, molto emotiva e molto presente nel progetto educativo. Le madri sono le prime ad accorgersi del disagio del figlio e sono le prime a leggere nella sintomatologia mostrata una problematica relazionale, in particolar modo con la scuola. Riconoscono che il corpo del proprio figlio sta comunicando un bisogno di sottrarsi alla relazione con la scuola. Ogni madre sa riconoscere i comportamenti strumentali quali per esempio, un finto mal di pancia o mal di testa. Le mamme dell’ Associazione ci parlano di reali stati di urgenza mostrati ad esempio la mattina prima di andare a scuola. Oltre ad essere molto attente manifestano anche un profondo malessere e un grande senso di colpa perché non riescono a capire come devono comportarsi con il proprio figlio.
Una madre racconta: “ho provato di tutto, a togliergli il telefono, il computer la play station ma nulla. Anzi, sembra peggiorare!”. Questo, infatti, è un approccio che tende ad amplificare la fenomenologia del ritiro, ma è la prima azione che solitamente fanno i genitori, in buona fede. Queste madri, oltre a dover faticare con un figlio che ha scelto di isolarsi dalla società e alle modifiche che questa situazione crea nelle dinamiche familiari, devono anche “combattere” con la famiglia di origine, i vicini di casa, gli amici di famiglia e anche con la scuola.
Tutto ciò aumenta il senso di impotenza percepito dai genitori. Dalla nostra esperienza abbiamo potuto notare che le madri sono le prime ad accettare che la cura non possa coincidere con l’accanimento del portare il figlio a scuola.
Inizialmente credevamo che una delle cause di hikikomori potesse essere ricondotta all’assenza del padre. Ci sbagliavamo. In effetti, i padri di hikikomori, non sono padri assenti, o meglio, non sono stati padri assenti. Anzi, sono padri molto presenti nel progetto educativo, sempre pronti a dare il loro contributo ed estremamente orgogliosi di ciò che riuscivano a fare i loro figli, sia a scuola che nello sport. Hanno seguito i loro figli con attenzione, intervenendo molto nella relazione educativa, credendo fortemente nelle loro scelte. Questi papà solitamente descrivono le madri come troppo affettive e troppo impaurite mentre il loro rapporto con i figli basato sulla fiducia. Quindi si evince che si è lontani dal padre assente tipicamente Giapponese.
La loro figura paterna è ambigua, all’esterno rivestita da un’immagine di grande forza e, invece, internamente debole. Inizialmente tendono a negare il problema e a sottovalutarlo. Sono i primi che si confrontano con le reazioni violente e di rabbia dei loro figli.
Da questa analisi sulle famiglie degli hikikomori appare chiaro che è di fondamentale importanza adottare una prospettiva sistemica che inquadri il disagio non come un problema del singolo ma lo consideri in un’ottica più ampia che comprenda anche i problemi nelle relazioni familiari.
Pingback: Hikikomori (Pt.6): L’importanza del sostegno per la famiglia | Dott.ssa Chiara Illiano
Nice bblog thanks for posting
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